Momenti per pensare

Benedizioni natalizie terminate, inizio e fine della joy company (10 Febbraio 2017)

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Fanne TESORO,
riflessioni e programma autunnale

informatore n° 409 del 4 Settembre 2016

 


Al rientro dalla GMG

e

in occasione del 40° di P. Mario
informatore n° 408 del 28 Agosto 2016

 


Rimettersi in moto

cliccami per saperne di più

      7 Settembre 2014

 

Avvicinandoci alla QUARESIMA,  riflettiamo su uno degli atteggiamenti  tipici del Tempo.

IL SENSO CRISTIANO DEL DIGIUNO E DELL’ASTINENZA

I1 digiuno e l'astinenza - insieme alla preghiera, all'elemosina e alle altre opere di carità - appartengono, da sempre, alla vita e alla prassi penitenziale della Chiesa: rispondono, infatti, al bisogno permanente del cristiano di conversione al regno di Dio, di richiesta di perdono per i peccati, di implorazione dell'aiuto divino, di rendimento di grazie e di lode al Padre.

Nella penitenza è coinvolto l'uomo nella sua totalità di corpo e di spirito: l'uomo che ha un corpo bisognoso di cibo e di riposo e l'uomo che pensa, progetta e prega; l'uomo che si appropria e si nutre delle cose e l'uomo che fa dono di esse; l'uomo che tende al possesso e al godimento dei beni e l'uomo che avverte l'esigenza di solidarietà che lo lega a tutti gli altri uomini. Digiuno e astinenza non sono forme di disprezzo del corpo, ma strumenti per rinvigorire lo spirito, rendendolo capace di esaltare, nel sincero dono di sé, la stessa corporeità della persona.

Ma perché il digiuno e l'astinenza rientrino nel vero significato della prassi penitenziale della Chiesa devono avere un'anima autenticamente religiosa, anzi cristiana.

 Il digiuno nell'esempio e nella parola di Gesù

 I1 digiuno dei cristiani trova il suo modello e il suo significato nuovo e originale in Gesù. È vero che il Maestro non impone in modo esplicito ai discepoli nessuna pratica particolare di digiuno e di astinenza. Ma ricorda la necessità del digiuno per lottare contro il maligno e durante tutta la sua vita, in alcuni momenti particolarmente significativi, ne mette in luce l'importanza e ne indica lo spirito e lo stile secondo cui viverlo.

Quaranta giorni di digiuno precedono il combattimento spirituale delle 'tentazioni', che Gesù affronta nel deserto e che supera con la ferma adesione alla parola di Dio: "Ma egli rispose: 'Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio' " (Mt 4,4). Con il suo digiuno Gesù si prepara a compiere la sua missione di salvezza in filiale obbedienza al Padre e in servizio d'amore agli uomini.

Riprendendo la pratica e il valore del digiuno in uso presso il popolo di Israele, Gesù ne afferma con forza il significato essenzialmente interiore e religioso, e rifiuta pertanto gli atteggiamenti puramente esteriori e "ipocriti" (cf. Mt 6, 1-6.16-18): digiuno, preghiera ed elemosina sono un atto di offerta e di amore al Padre "che è nel segreto" e "che vede nel segreto" (Mt 6,18). Sono un aspetto essenziale della sequela di Cristo da parte dei discepoli.

Quando gli viene domandato per quale motivo i suoi discepoli non praticano le forme di digiuno che sono in uso presso taluni ambienti del giudaismo del tempo, Gesù risponde: "Finché gli invitati alle nozze hanno lo sposo con loro, non possono digiunare" (Mc 2,19). La pratica penitenziale del digiuno non è adatta a manifestare la gioia della comunione sponsale dei discepoli con Gesù. Ma egli subito aggiunge: "Verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno" (Mc 2,20). In queste parole la Chiesa trova il fondamento dell'invito al digiuno come segno di partecipazione dei discepoli all'evento doloroso della passione e della morte del Signore, e come forma di culto spirituale e di vigilante attesa, che si fa particolarmente intensa nella celebrazione del Triduo della Santa Pasqua.

I1 riferimento a Cristo e alla sua morte e risurrezione è essenziale e decisivo per definire il senso cristiano del digiuno e dell'astinenza, come di ogni altra forma di mortificazione: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mc 8,34). È infatti nella sequela di Cristo e nella conformità con la sua croce gloriosa che il cristiano trova la propria identità e la forza per accogliere e vivere con frutto la penitenza.

dal numero 308 dell'informatore  (2 Marzo 2014)

 

 

dal numero 304 dell'informatore  (2 Febbraio 2014)

"Non puntate ad avere il bambino che piacerebbe a voi.

Abbiate rispetto per ciò che il bambino è!".

Qualcuno definisce oggi il guardare il figlio un’arte. C’è allora un rischio: che come ogni arte sia qualcosa alla portata di pochi artisti, ma questo condannerebbe molti ad essere genitori mediocri. Oppure è vero che si tratta di un'arte, ma il sapiente Artefice, l'ha messa alla portata di tutti. Infatti...
«Il contatto visivo è una delle più potenti vie di educazione. Gli occhi parlano più forte della voce: sono il canale attraverso il quale trasmettiamo i nostri pensieri, le nostre emozioni.

Gli occhi possono trasmettere rabbia, tristezza, sdegno, disprezzo, freddezza, oppure calore, tenerezza, accoglienza, gioia, speranza, conforto, amore. Guardare il figlio è come dirgli: "Tu esisti per me, tu sei entrato nei miei pensieri, nei miei affetti".

Nei campi di concentramento tedeschi era severamente proibito ai prigionieri di guardare negli occhi i loro carcerieri. Lo sguardo avrebbe potuto intenerirli! Insomma, una cosa è certa: se guardassimo i figli almeno come guardiamo il bagno e l'automobile, avremmo ragazzi meno tristi, meno infelici, meno delusi della vita.
"Se guardassimo...": è una parola!

Si tratta di guardare con arte, cestinando gli sguardi sbagliati, per scegliere esclusivamente, gli sguardi buoni. Sguardo sbagliato è, ad esempio, lo sguardo poliziesco che tacchina in continuazione il figlio senza mai lasciarlo libero di respirare, di muoversi, di uscire,...  Sguardo sbagliato è lo sguardo minaccioso dei genitori che mirano di più a farsi ubbidire che a convincere. Terzo sguardo sbagliato è lo sguardo indifferente. Questo è il peggiore in assoluto! L'indifferenza è la bestia nera di tutti i figli del mondo! La pericolosità dello sguardo indifferente sta nel fatto che può azzerare quella grande forza cosmica che è la voglia di vivere! Lo sguardo indifferente manda a dire al figlio: "Tu sei nessuno". Messaggio che taglia le radici alla vita! A ben pensarci, non è forse vero che ha senso essere al mondo solo se si è per qualcuno?

Davvero: gli sguardi sbagliati sono l'inverno; gli sguardi buoni sono la primavera. Sguardo buono è lo sguardo generoso che vede nel figlio ciò che nessuno vede. Sguardo buono è sguardo sempre nuovo: vede che il figlio cambia e quindi si adatta alla sua crescita (vi è un abisso tra il bambino e l'adolescente: trattare il figlio da perenne bambino è uno sbaglio da cartellino rosso!). Sguardo buono è lo sguardo ottimista, incoraggiante, luminoso: lo sguardo che dà valore al figlio e tifa per lui....»

(Pino Pellegrino)

 

 

FIENO IN CASCINA

C'è stato un tempo in cui avere fieno in cascina era sinonimo di benessere e di sicurezza per l'avvenire. Ed è diventato un modo di dire proverbiale per indicare la capacità di mettere via qualcosa nell'abbondanza, da usare poi nei momenti di carestia, di bisogno, di gelo. Ecco oggi vorremmo suggerire a tutti di mettere un pò di fieno in cascina, perché abbiamo vissuto un bel periodo di abbondanza, dove molti si sono nutriti del Ben di Dio e ne è anche avanzato.
 

In questo tempo di Natale - più lungo nella tradizione ambrosiana - si sono viste molte famiglie approfittare degli appuntamenti, delle celebrazioni e anche dei suggerimenti proposti alla Comunità per vivere il Natale in famiglia: compresa l'indicazione a non lasciar mancare il presepio in casa. Adesso però bisogna toglierlo, incartare tutto: qualcosa finirà su scaffali alti, qualcos'altro deve diventare come ... il fieno in cascina.

Questo è - per esempio - il perché si è fatto il presepio. Perché in casa dei coniugi Magni c'è da 40 anni, e prima c'era nella casa dei loro genitori ..., quindi è come uno di famiglia e allora ce l'hai sempre sott'occhio e lo collochi sul piano sotto la TV, come hanno fatto i coniugi Origo; ... o nel caminetto (come dai Gargantini), sinonimo di caldo, quel calore "umano" che ciascuno in famiglia riceve dagli altri e procura per loro.

Occorre sottolineare anche con chi si è fatto il presepio. Così Christian, trova nella mente allenata del papà l'idea dei pellet per lastricare i sentieri che risultano antichi, ma morbidi per chi deve percorrerli; o Matteo, che con l'aiuto delle abili mani del papà modella il polistirolo in solide e tranquillizzanti mura di pietra, dove l'ospitalità è sacra (un pò per tutte le religioni, con quell'ammiccare alla moschea...); oppure Gabriele, che con l'ausilio dell'esperienza del papà proietta Gesù nella tecnologia del futuro, perché è lui solo l'uomo per tutti i tempi.

Se si valuta poi con più cura dove fare il presepio, scopriamo che sta bene sotto l'altare della nostra cappella (dalle mani di Assunta e Maria); oppure appena dentro casa dei piccoli Alessio e Martina, con una cura dei particolari che cattura subito lo sguardo; o ancora addirittura fuori, ben visibile sotto la scala di ingresso alla casa, come ha fatto Angelica, quasi a ricordare a chi ha fretta - e non entra - che Gesù lo si incontra dappertutto.

E che dire della creatività di Michela e Stefano il cui presepio, ad altezza di occhi e orecchi, è "parlante", cioè da vedere e da leggere; o infine cosa augurare ai piccoli Giulia e Andrea, che ancora non possono fare la comunione, ma hanno realizzato un presepio di pasta frolla tutto da mangiare, Gesù compreso?? !!!...

Nel nostro giro per visitare i presepi iscritti al concorso, ne abbiamo visti pochi: non osiamo pensare - chissà... - cosa c'era in giro; un universo di interpretazioni e di accoglienza a Gesù venuto: tutto fieno in cascina per la crescita spirituale delle famiglie...

E per finire ti lasciamo qui sotto questo piccolo spazio, perché tu possa scrivere - e quindi ricordare con piacere - come, dove e perché hai fatto il tuo presepe .

                                                                      Roberto  &  dA

dal numero 301 dell'informatore  (12 Gennaio 2014)

 

 

 

numero TRECENTO

Dopo qualche timido tentativo nelle settimane precedenti, il 1 gennaio 2007 usciva il primo numero di questo INFORMATORE
a scadenza pressoché settimanale: fedele al titolo. Il suo obiettivo è di informare, cioè tenere aggiornati sugli orari e sugli appuntamenti (infatti questa parola è diventata il suo nome proprio...). Ma non abbiamo mai disdegnato un altro compito:
la formazione. Senza troppe pretese (c’è molta carta "cattolica" in circolazione e alla portata di tutti...) vogliamo stimolare la riflessione soprattutto su temi "interni" che interessano da vicino la nostra quotidianità, che ci "toccano" insomma, anche se a volte prestiamo loro troppo poca attenzione. Come si può notare, avevamo cominciato parlando di pace e la coincidenza vuole che questo sia anche oggi l’argomento principale; prima che la mondo intero - o per augurarla a tutti - è necessario che essa trionfi nelle nostre case e nei nostri cuori: con questo spirito accostiamo il messaggio del Papa, di cui  è possibile gustare bontà, delicatezza e profondità
anche attraverso la breve sintesi che pubblichiamo. Contemporaneamente - con la tempestività di sempre - anche il SITO parrocchiale www.oratoriosanluigi.org nei giorni scorsi  ha rinnovato la propria home page, per offrire maggiore immediatezza e facilità di lettura. Se non vi è ancora stato  possibile, vale la pena di aprirlo, di prendere confidenza per renderlo uno strumento sempre più utile. In particolare devono familiarizzare con esso i più giovani, spesso collegati a internet persino dal cellulare lungo la giornata (e purtroppo anche di  notte, all’insaputa di genitori troppo distratti...).      dA

dal numero 300 dell'informatore  (5 Gennaio 2014)

 


TI  ANNUNCIO UNA GRANDE GIOIA
(dall'informatore n° 299 del 21 Dicembre 2013)

Occorre che faccia subito una precisazione: io sono dalla stessa parte nella quale vi trovate voi che leggete queste righe; cioè non sono l’autore dell’annuncio, ma uno dei destinatari e beneficiari!

Sembra un particolare da poco e ovvio: in realtà è una straordinaria fortuna, perché io - di mio - non saprei aggiungere pensiero o parola che valga la pena di essere ripetuto in questo particolare momento storico, nel quale - oltre le luci della  festa - c’è poco in giro che brilla.

Ma c’è anche eccessivo pessimismo.

L’Autore del trittico che campeggia su questa pagina, conservato presso la Galleria degli Uffizi di Firenze, ha saputo tratteggiare la profondità dell’annuncio che aveva investito anche lui, come noi:

"Rallegrati, piena di grazia,  il Signore è con te".


Non è la semplice - pur grandissima - gioia della scoperta di una maternità, bensì è "quella" maternità che è stata, è e sarà nel cuore di ogni donna - di ogni persona - quando si interroga sul proprio destino e si trova davanti l’ineludibile problema dell’esistenza di Dio. Dio c’è; questa sorprendente verità è tutta racchiusa in quelle parole dell’angelo, dove il verbo - al tempo presente - indica addirittura qualcosa di più: il Dio che esiste, ti è vicino e si interessa a te. Come per Maria, ciascuno di noi deve passare dallo sgomento alla sorpresa, dall’agitazione della ricerca alla serena pace di chi ha trovato. Ora davvero possiamo fare nostre le parole di sant’Anselmo: "Fuggi via per breve tempo dalle preoccupazioni, lascia per un pò i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in Lui". Ecco, viviamo così questi giorni. Un’ultima cosa: il titolo di queste righe è riportato con caratteri leggeri per scelta: questo annuncio - per quanto vada gridato e diffuso - è roba fine e delicata, per orecchi avvezzi alla buona musica. Auguri!                dA

 

 

   (informatore 297 del 8 Dicembre 2013)


Carissimi TUTTI !

Siamo quasi al termine di quella, sempre interessante, umanamente arricchente e spiritualmente vantaggiosa esperienza che è la benedizione della famiglia. Vorrei qui riprendere le brevi parole che ho apposto sulla presentazione del pieghevole che lasciamo nelle case: «...perché ogni nascita è Natale».

Così - con brevi parole - credo di rendere omaggio allo straordinario dono che Dio fa a ciascuno di voi genitori, di essere collaboratori nel generare la vita.

Vita che poi va sempre in qualche modo a Lui restituita o, più correttamente dovrei dire, a Lui affidata, perché la renda grande. La faccia crescere in età, sapienza e grazia. 

L’oratorio si affianca per il compimento di questo impegno e offre la propria collaborazione che, per quanto geniale possa essere, è anche un pò ingombrante, cioè occorre tenerne conto se si vuole che produca giovamento.

Ecco allora la necessità di conoscere il "calendario" delle attività e delle proposte, alcune delle quali sono complementari alla crescita, altre essenziali. A queste ultime appartiene l’appuntamento di domenica 22 dicembre, giorno nel quale ci scambiamo gli auguri, sotto forma di piccoli pensieri "per pensare", ma soprattutto «presenziamo» (= qui bisogna cogliere tutta la forza di questa parola...) ad alcuni gesti che sono parte del cammino di formazione oratoriana.

La rilevanza della giornata aveva spinto me e gli educatori a segnalarla la settimana successiva alla festa dell’oratorio (6 ottobre...!).

Due sono i gesti dei "piccoli": l’iscrizione al percorso di professione di fede e il rinnovo (o la nuova...) dell’adesione al gruppo-chierichetti. Entrambi i gesti hanno tra le loro finalità il condurre "più vicini a Gesù", cioè esattamente preparare al Natale.

Alcuni ragazzi saranno protagonisti, altri sollecitati ad emulare, tutti guidati ad approfittare del breve spazio di meditazione.

Il pranzo - a base di pasta asciutta...-, la bibita, ecc... sono il gradevole contorno. Alla famiglia - dove i genitori lo vogliono - è facile far proprio l’appuntamento.                                                                            dA

 

 

 

BUON ANNO...!

Ho fatto colazione regolarmente questa mattina, tutto normale.
Ma oggi è davvero una giornata speciale per la Comunità Cristiana:
inizia il suo NUOVO ANNO LITURGICO.
Ecco il perché degli auguri... di cuore!

(informatore del 17 Novembre n° 294)

 

Don Bosco amava raccontare che, in una giornata afosa e soffocante, mentre camminava per Torino in compagnia del fedelissimo sacerdote collaboratore don Rua e di un altro salesiano, ad un tratto vide una scena che "mi riempì il cuore di profonda tristezza:
un ragazzino, forse avrà avuto 12 anni, stava tentando di trascinare un carretto carico di mattoni sull'acciottolato sconnesso della via. Era un garzone muratore esile e piccolo che, incapace di smuovere quel peso superiore alle sue forze, stava piangendo disperato.
Mi staccai dai due salesiani e corsi verso quel povero ragazzo, uno dei tanti che, nella Torino di allora che si arricchiva di tanti bei palazzi, crescevano sotto padroni disumani a suon di sberle e di bestemmie. Mi colpirono quelle lacrime che rigavano il suo volto.
Mi avvicinai, gli sorrisi con un lieve cenno d'amicizia e lo aiutai a spingere quel peso sino al cantiere di lavoro. Tutti si meravigliarono nel vedere arrivare in quel posto un prete con tanto di tonaca nera; il ragazzino, invece, aveva capito al volo che gli volevo davvero bene se mi ero messo al suo fianco per un gesto solidale di aiuto concreto".

A don Bosco piaceva ricordare questo fatto, uno fra i tanti, perché lo considerava il simbolo del suo grande amore verso i giovani. Amore non fatto di parole, amore che parlava dritto dritto al cuore: "Di questo ero certo: il cammino che giunge al cuore è quello che convince di più e spazza via ogni resistenza e possibile dubbio".

All'inizio del nuovo anno che è liturgico, cioè tipico e proprio della famiglia (comunità) cristiana, è quanto mai opportuno scambiarci qualche augurio -  non troppo convenzionale - e stabilire qualche proposito, potendo non di quelli che lastricano la strada verso la luna. Così mi pare che questo episodio preso dalla vita di san Giovanni Bosco possa suggerirci bene entrambi le cose.

A tutti i genitori e a tutti voi, educatori dell'oratorio, l'augurio che lo Spirito di Dio ci aiuti a scoprire e a percorrere le vie del cuore per completare lo sforzo comune dell'educazione dei "piccoli" (da intendere come: tutti i figli che abbiamo in casa, finché li abbiamo in casa...).

 Noi adulti vediamo bene quanto sia "acciottolata" la strada che devono percorrere, ma forse è il caso di dire non meno acciottolata di quella sulla quale abbiamo camminato noi. Infatti vivono tempi con inattese difficoltà, ma sono dotati di intuizioni che noi facevamo fatica ad avere. Vivono obiettivamente condizioni più a rischio, ma ci sono più consapevoli e grandi strumenti di difesa.

Ciò che qualche volta (o frequentemente) è venuto meno è lo "stare dietro", lo "spingere il carretto" con...: è aumentato il senso del "lasciar fare da soli", con il conseguente approdo al "non fare", o peggio al "fare solo l'interesse".

Se mi è facile e poco costoso formulare l'augurio (perché affidato allo Spirito...), più impegnativo e ingombrante è fissare il proposito: quello di usare le mie (nostre) energie per metterci amorevolezza e non vivere come ingombro questo "occuparmi di loro", costantemente incoraggiato dalle parole di don Bosco che diceva: "Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani".

Buon anno liturgico!  

 

FUORI DALLA NEBBIA,
OSSIA: COSA DEVO FARE PER IL MIO ORATORIO

(informatore del 29 Settembre n° 287)

Scrivo queste righe con un pensiero che mi occupa la mente: che cosa chiederò a Dio, tra qualche ora, quando sarò con i nostri piccoli a celebrare la "Messa degli zainetti"? È l'inizio dell'anno scolastico, quell'anno sul quale - quando andavo a scuola io e anche quando ero professore - si chiedeva per tutti (sottolineo: per tutti...) ufficialmente la benedizione di Dio (oggi in nome di una falsa libertà e di un subdolo rispetto abbiamo abdicato a favore di altri, che non vogliono la nostra libertà e non ci rispettano affatto...). Che cosa gli chiederò, dunque?

Provvidenza e lungimiranza: in queste cose Dio è maestro, anzi di più, è Padre.

È uno che non lascia mancare nulla di ciò che serve e soprattutto è inesauribile nella sua attenzione per cui - quello che serve - ce l'avrò anche domani, in misura consona, senza troppe abbuffate. È uno amante della vita, in essa mi costruisce, mi fa crescere, mi attende. Questo chiederò a Dio per i nostri piccoli, per adolescenti e giovani: "occupatene, ...e dai loro futuro!".

Intanto si avvicina anche la Festa dell'Oratorio che, va detto per togliere qualche nebbia (mentale e culturale), non è festa delle mura bensì delle persone. Quali? Ma... voi! Ops... noi! Non c'è festa in Comunità senza la presenza di ciascuno, direi anche senza la presenza significativa di ciascuno. E allora: quale significato dare alla presenza? O, per dirla chiara, che cosa farai, quel giorno, prodromo di tutti gli altri giorni dell'anno?

Beh, facile, fai come Dio! Non è un'esagerazione o una pretesa, semplicemente un suggerimento che orienta lo sforzo nella stessa direzione della sua onnipotenza, quindi accresce la certezza del risultato.

Ci vuole abbondanza di provvidenza per un ambiente fortemente impegnato in una attività dove la fatica è molta e i risultati incerti; ci vogliono genitori, nonni e chiunque lo desideri che "provvedano", che facciano questo lavoro di "vedere per, a vantaggio di..., per il bene di..."; ci vogliono oggi, perché è adesso che abbiamo bisogno di sguardo amorevole, di una mano per qualsiasi cosa e del sostegno spirituale e... - mi spreco - aggiungerei economico.

Ma non basta. Ci vuole anche ampia lungimiranza. Noi siamo spesso guidati (politicamente e non) da persone che non sanno vedere oltre il proprio naso e ce ne lamentiamo pure; se ci riuscisse di "mirare lontano", di individuare una meta verso la quale muovere i passi; se ci fosse possibile "sapere con certezza" il bene futuro...: non è un'utopia; guardando in tanti, guardando insieme, facendoci aiutare nel guardare, anche se i tempi sono "difficili" ci accadrà come il viaggiare nella nebbia (quella spessa, oggi prodotta più dall'inquinamento che dal freddo): se ciascuno segue prudentemente l'altro, l'ultimo vede in realtà per centinaia di metri. I nostri piccoli, tutto l'oratorio, sono gli ultimi arrivati, parte di una Comunità che da secoli scruta il volto di Dio, sibillinamente oscurato dalla nebbia (della mancanza di fede).

Cosa farai,  allora? Non mi sento bene nel ruolo di "assegnatore di compiti", però una cosa posso suggerirla. Proviamo a metterci d'accordo così: se non farai nulla (se hai nebbia nel cuore), nemmeno ti lamenterai, non parlerai neppure male e non farai pettegolezzo (mio Dio! sei disoccupato...), non additerai ciò che inevitabilmente non va o procede stentato. Se farai così, in fondo (ma proprio toccando il fondo...) anche tu avrai fatto qualcosa per l'oratorio: avrai tolto un pò di nebbia (dagli occhi)!

Adesso c'è un bel sole, non tanto fastidioso: chissà se è un buon auspicio.         

 


Ho ancora negli occhi e nel cuore quella straordinaria esperienza che è stata la Giornata Mondiale della Gioventù, vissuta da me comodamente in poltrona..., molti di voi come me, forse...; ma tutti eravamo rappresentati dalle nostre cinque ragazze presenti e attive in loco. Perché riparlarne? Perché le parole del Papa erano (anzi, sono...) tese a risvegliare un progetto di vita ispirato, condotto e concluso felicemente in Gesù; perché le immagini ci ricordavano (ci dicono ancora) che la scelta cristiana non è d'élite, non è per gli occidentali, non è per gente senza cultura, bensì è per tutti e a tutti sa dare soddisfazione; perché le nostre cinque ragazze facevano (dovrebbero farlo ancora) come da segna-posto per noi, porzione benestante dell'umanità, paese ameno, non estromesso dalla possibilità di accogliere l'annuncio positivo che fa vibrare questo tempo.

Papa Francesco, saggio Padre spirituale universale, concludeva quella giornata con queste parole:

"Ecco, cari amici, il nostro modello. Maria, Colei che ha ricevuto il dono più prezioso da parte di Dio, come primo gesto di risposta si muove per servire e portare Gesù. Chiediamo alla Madonna che aiuti anche noi a donare la gioia di Cristo ai nostri familiari, ai nostri compagni, ai nostri amici, a tutti. Non abbiate mai paura di essere generosi con Cristo. Ne vale la pena! Uscire e andare con coraggio e generosità, perché ogni uomo e ogni donna possa incontrare il Signore". (GMG Angelus, 28 luglio).

Nessun'altra parola che questa, riuscirebbe a riassumere - seppure senza volerlo - in modo chiaro e sintetico le indicazioni che riceviamo dal Cardinale per il nuovo anno pastorale. La sua lettera "offerta a tutte le donne e a tutti gli uomini di buona volontà, ... è strumento di riflessione sul significato e la direzione della propria vita".

Ecco il cuore della lettera e dell'impegno pastorale di quest'anno: "Quando la comunità ecclesiale vive perseverando nel pensiero di Cristo, nella comunione sincera, nella celebrazione eucaristica in una piena apertura a tutta la realtà, essa può con franchezza e gioia, senza alcun artificio o forzatura, proporre questo incontro in ogni momento e a chiunque:
«Vieni e vedi!».

Dall'incontro con Gesù, gustato nel profondo, nasce dunque la testimonianza, soprattutto verso quelle generazioni, chiamate "intermedie" (25-50 anni...) "particolarmente travagliate,... alle quali l'annuncio del Vangelo appare astratto, lontano dal quotidiano...".

Dalle nostre parti, ancora per un pò possiamo stare "tranquilli", i confini della fede sono ampi, seppure erosi, ma un tarlo subdolo si è introdotto nella nostra quotidianità: "...l'ateismo anonimo, cioè il vivere di fatto come se Dio non ci fosse...".

Chi di noi - a ragione - ha la piena consapevolezza della bellezza dell'incontro con Gesù, deve acquisire forza, capacità e convinzione nel dirlo agli altri.

                                                                               dA

 

 

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Carissimi parrocchiani,

o (se qualcuno non vuole troppi compromessi con il clero)

Carissimi concittadini,
 

 

credo siate tutti al corrente dell’accordo che la Parrocchia ha firmato in mese scorso con l’Amministrazione Comunale per la realizzazione di "n° 2 giornate di raccolta di beni alimentari destinati a soggetti in condizione di disagio". Questa è una buona cosa, perché dal mio piccolo osservatorio (sono anche responsabile Caritas di decanato...), sono sempre più marcati i segnali di un diffondersi ed estendersi dell’area del disagio economico tra le famiglie.

Sul nostro territorio, il contributo che la Parrocchia offre perché sia data una risposta sana ed equilibrata al problema, è notevole: con mezzi propri, ma soprattutto con le braccia di tanta brava gente, che siete (molti di) voi.

Ora devo dirvi questa cosa: per quanto bravi nel gestire, i nostri operatori Caritas a volte si trovano a constatare il "vuoto" delle dispense e diventa impossibile attendere l’organizzazione di una giornata "istituzionale". Mi son chiesto: ma allora perché siamo arrivati a formularle? Siamo forse malati di burocrazia?

No, affatto. La nostra malattia credo vada classificata tra i "delirium". Infatti sento dire che "uno che non viene in chiesa", non verrebbe mai in casa parrocchiale a portare alimenti per i bisognosi; che esistono ancora forme anti-clericali (è un diritto avere delle riserve...); che non si sanno gli avvisi detti in chiesa (possibile e di diritto anche questo...); ma tutto questo è delirium di fronte alle necessità.

Ora, chiarito che il prete si mantiene col suo stipendio e una discreta attenzione da parte di molti; assodato che ciascuno può esprimere le proprie contrarietà (ma per coerenza dovrebbe parcheggiare fuori dal piazzale, perché anche  quello "è della chiesa"...); constatato che alcune notizie della parrocchia capitano tra le mani (e non si bruciano, infatti state leggendo...), non resta che fissare l’ultimo pensiero: avvicinarsi alla casa del prete o entrare in chiesa per appoggiare un pacco, non porta sfortuna!

Che, se dopo averlo fatto, capitasse nell’immediato di inciampare e rompere un osso, beh - che dire? - lì ci vuol proprio una benedizione o, almeno, uno scongiuro ateo. A proposito: io so fare anche questi ultimi... Lo giuro davanti a Dio!

Tutto questo per dire che abbiamo bisogno di rifornire il magazzino dal quale attingere per continuare ad aiutare. Qui sotto  c’è annotato cosa necessita con urgenza. E le giornate "istituzionali"? Sono un’ottima occasione per i poveri, non per darci del demente. Ne cureremo certamente la realizzazione.

                                                                                     dA

 

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L’ESTATE VICINA PROVOCA
NEI GENITORI
QUALCHE APPRENSIONE

L’ORARIO

UN PROBLEMA "NERVOSO"
CHE METTE IN GIOCO
LA RESPONSABILITÀ EDUCATIVA

L’ESEMPIO DI MARIA E DI GESÙ

Ancora una settimana e per quasi tutti termina la scuola; c’è da augurarsi pochi strascichi per i debiti e sereni prolungamenti per gli esami. Ma tutto questo genera (o amplifica) un problema per i genitori.
Sarà più facile sentirsi dire: «esco...»; sarà più impegnativo rispondere: «dove vai...? a che ora torni...?». Il compito è complesso ed è reso gravoso dalle accresciute situazioni che non sono semplice trasgressione, ma spesso anche autentici pericoli che intaccano l’integrità interiore del figlio.

Vorrei spendere qualche parola su un particolare del siparietto sopra accennato, propongo di pensare un attimo a questo: «a che ora rientri...?». Battaglia! Perché sfiancati o perché superficiali, si finisce per concedere - di quarto d’ora in quarto d’ora - un rientro sempre "più tardi", in orari sproporzionati all’età e in barba al buon senso. C’è anche la motivazione, pietosa scusa: non si può vivere come una volta... ; va in quella casa... li conosco; vado a prenderlo io... e poi... tutto sommato è un bravo ragazzo, ... non fa nulla di male...

È vero: occorre salvare il "diritto" allo svago e alla riappropriazione del tempo, qualche volta eccessivamente scippato da uno studio frenetico, ma forse non è questo il modo.
C’è da ridar valore al senso di appartenenza; spesso l’uscita è vissuta come una fuga dalla propria insoddisfacente (naturalmente negata...) situazione di vita famigliare, insoddisfacente anche per il genitore; il prolungarsi dell’orario (NON l’orario in sè) è immersione nella libertà, purtroppo fasulla come i sogni creati dalla droga. E ha la stessa durata. Nel cuore dei figli occorre leggere la gioia (reale, non negoziata, non comperata, ...) di appartenere a "questa" casa.
C’è poi un irrinunciabile valore pedagogico nel limite stabilito. Non è vero che strafogandosi sempre si vive felici; non è vero che "ogni lasciata è persa", come dice un sibillino proverbio delle nostre parti. E non è vero che un limite non possa essere "imposto", in un dialogo franco, dove si rispettano i ruoli dell’educante e dell’educato. Certo non bisogna attendere di chiarire questo alle 20:45 di sabato sera!.
C’è da tener conto della mente e del cuore dell’adolescente, occorre esercitare l’arte dell’equilibrio che permette di evitare gli estremi della ribellione o della bieca sottomissione. Ricevere dei NO, certamente rafforza la sicurezza interiore del figlio e non lo lascia maturare nello sbando di un mondo che continua a proporre i "consumi" come il più grande fattore di crescita.
C’è infine da impiegare "cum grano salis", la responsabilità della punizione; quando vieni tirato per la giacca dal figlio (eufemismo necessario su un Info parrocchiale, in realtà si dovrebbe dire: quando vieni preso per ....) occorre avere il coraggio di dissentire in modo fattivo e continuato per il tempo ritenuto necessario. Senza sensi di colpa, che invece stanno bene e dovrebbero essere giganteschi in quei genitori che "calano le braghe" (così, quello di cui sopra è più sbrigativo).

Merita di essere riletta quella pericope che conclude il capitolo 2 del vangelo di Luca (versetti 41-52)  dove è raccontato un clamoroso "sforameto d’orario" di Gesù dodicenne, addirittura tre giorni!
Ci si imbatte nelle parole di Maria: «figlio, perché ci hai fatto...». Sono le prime parole quando lo ritrovano e dicono chiaramente tre cose.
Io sono il tuo genitore: «figlio» non è parola sdolcinata della madre innamorata della sua bella creatura, spaventata per quello che poteva succedere, ma la rivendicazione di un diritto naturale voluto e assunto in pienezza.
A questo genitore devi rendere conto: «perché», cioè ora ne parliamo e tu spieghi..., e sia chiaro che non esiste il "non parliamone più"!
Tu sei unico responsabile: «ci hai fatto...», noi non c’entriamo con la tua assenza, con la tua scelta che è "contro" («ci») di noi e quindi da noi ti allontana.

Dopo una iniziale - certamente chiara e pesante - risposta di Gesù, che non si colloca "fuori" dalla famiglia, ma semplicemente ne delinea più correttamente i confini (Dio è il Padre di Gesù), il brano di Luca si conclude con queste parole: «...stava loro sottomesso», il che significa che, pur con tutte le ragioni che poteva avere, Gesù ha preso coscienza della sofferenza provocata (il «perché» di Maria deve essere stato micidiale...) e ha fatto suo lo stile di casa («sottomesso») una volta per tutte.

Genitore e figlio, nel rispetto dei loro ruoli, hanno avuto ciascuno il suo. E deve essere stata un’occasione indimenticabile per entrambi, oltre che una pietra miliare verso quella crescita che poi è continuata nello splendore davanti a Dio e agli uomini.

Tutt’altro che un fervorino, questa pagina sollecita il genitore ad una assunzione di responsabilità, senza la quale la sua presenza sarebbe inutile. Così dovrebbe essere più chiaro, se non proprio più facile, esercitare la genitorialità consapevole.
                                                                                   dA

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