Momenti per pensare
Benedizioni natalizie terminate, inizio e fine della joy company (10 Febbraio 2017)
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Fanne
TESORO, informatore n° 409 del 4 Settembre 2016 |
in occasione del 40° di P. Mario |
Avvicinandoci alla QUARESIMA, riflettiamo su uno degli atteggiamenti tipici del Tempo.
IL SENSO CRISTIANO DEL DIGIUNO E DELL’ASTINENZA I1 digiuno e l'astinenza - insieme alla preghiera, all'elemosina e alle altre opere di carità - appartengono, da sempre, alla vita e alla prassi penitenziale della Chiesa: rispondono, infatti, al bisogno permanente del cristiano di conversione al regno di Dio, di richiesta di perdono per i peccati, di implorazione dell'aiuto divino, di rendimento di grazie e di lode al Padre. Nella penitenza è coinvolto l'uomo nella sua totalità di corpo e di spirito: l'uomo che ha un corpo bisognoso di cibo e di riposo e l'uomo che pensa, progetta e prega; l'uomo che si appropria e si nutre delle cose e l'uomo che fa dono di esse; l'uomo che tende al possesso e al godimento dei beni e l'uomo che avverte l'esigenza di solidarietà che lo lega a tutti gli altri uomini. Digiuno e astinenza non sono forme di disprezzo del corpo, ma strumenti per rinvigorire lo spirito, rendendolo capace di esaltare, nel sincero dono di sé, la stessa corporeità della persona. Ma perché il digiuno e l'astinenza rientrino nel vero significato della prassi penitenziale della Chiesa devono avere un'anima autenticamente religiosa, anzi cristiana. Il digiuno nell'esempio e nella parola di Gesù I1 digiuno dei cristiani trova il suo modello e il suo significato nuovo e originale in Gesù. È vero che il Maestro non impone in modo esplicito ai discepoli nessuna pratica particolare di digiuno e di astinenza. Ma ricorda la necessità del digiuno per lottare contro il maligno e durante tutta la sua vita, in alcuni momenti particolarmente significativi, ne mette in luce l'importanza e ne indica lo spirito e lo stile secondo cui viverlo. Quaranta giorni di digiuno precedono il combattimento spirituale delle 'tentazioni', che Gesù affronta nel deserto e che supera con la ferma adesione alla parola di Dio: "Ma egli rispose: 'Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio' " (Mt 4,4). Con il suo digiuno Gesù si prepara a compiere la sua missione di salvezza in filiale obbedienza al Padre e in servizio d'amore agli uomini. Riprendendo la pratica e il valore del digiuno in uso presso il popolo di Israele, Gesù ne afferma con forza il significato essenzialmente interiore e religioso, e rifiuta pertanto gli atteggiamenti puramente esteriori e "ipocriti" (cf. Mt 6, 1-6.16-18): digiuno, preghiera ed elemosina sono un atto di offerta e di amore al Padre "che è nel segreto" e "che vede nel segreto" (Mt 6,18). Sono un aspetto essenziale della sequela di Cristo da parte dei discepoli. Quando gli viene domandato per quale motivo i suoi discepoli non praticano le forme di digiuno che sono in uso presso taluni ambienti del giudaismo del tempo, Gesù risponde: "Finché gli invitati alle nozze hanno lo sposo con loro, non possono digiunare" (Mc 2,19). La pratica penitenziale del digiuno non è adatta a manifestare la gioia della comunione sponsale dei discepoli con Gesù. Ma egli subito aggiunge: "Verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora digiuneranno" (Mc 2,20). In queste parole la Chiesa trova il fondamento dell'invito al digiuno come segno di partecipazione dei discepoli all'evento doloroso della passione e della morte del Signore, e come forma di culto spirituale e di vigilante attesa, che si fa particolarmente intensa nella celebrazione del Triduo della Santa Pasqua. I1 riferimento a Cristo e alla sua morte e risurrezione è essenziale e decisivo per definire il senso cristiano del digiuno e dell'astinenza, come di ogni altra forma di mortificazione: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mc 8,34). È infatti nella sequela di Cristo e nella conformità con la sua croce gloriosa che il cristiano trova la propria identità e la forza per accogliere e vivere con frutto la penitenza. dal numero 308 dell'informatore (2 Marzo 2014)
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dal numero 304 dell'informatore (2 Febbraio 2014)
"Non puntate ad avere il bambino che piacerebbe a voi. Abbiate rispetto per ciò che il bambino è!". Qualcuno definisce oggi il
guardare il figlio un’arte. C’è allora un rischio: che come ogni
arte sia qualcosa alla portata di pochi artisti, ma questo
condannerebbe molti ad essere genitori mediocri. Oppure è vero che
si tratta di un'arte, ma il sapiente Artefice, l'ha messa alla
portata di tutti. Infatti... Gli occhi possono trasmettere rabbia, tristezza, sdegno, disprezzo, freddezza, oppure calore, tenerezza, accoglienza, gioia, speranza, conforto, amore. Guardare il figlio è come dirgli: "Tu esisti per me, tu sei entrato nei miei pensieri, nei miei affetti". Nei campi di concentramento
tedeschi era severamente proibito ai prigionieri di guardare negli
occhi i loro carcerieri. Lo sguardo avrebbe potuto intenerirli!
Insomma, una cosa è certa: se guardassimo i figli almeno come
guardiamo il bagno e l'automobile, avremmo ragazzi meno tristi, meno
infelici, meno delusi della vita. Si tratta di guardare con arte, cestinando gli sguardi sbagliati, per scegliere esclusivamente, gli sguardi buoni. Sguardo sbagliato è, ad esempio, lo sguardo poliziesco che tacchina in continuazione il figlio senza mai lasciarlo libero di respirare, di muoversi, di uscire,... Sguardo sbagliato è lo sguardo minaccioso dei genitori che mirano di più a farsi ubbidire che a convincere. Terzo sguardo sbagliato è lo sguardo indifferente. Questo è il peggiore in assoluto! L'indifferenza è la bestia nera di tutti i figli del mondo! La pericolosità dello sguardo indifferente sta nel fatto che può azzerare quella grande forza cosmica che è la voglia di vivere! Lo sguardo indifferente manda a dire al figlio: "Tu sei nessuno". Messaggio che taglia le radici alla vita! A ben pensarci, non è forse vero che ha senso essere al mondo solo se si è per qualcuno? Davvero: gli sguardi sbagliati sono l'inverno; gli sguardi buoni sono la primavera. Sguardo buono è lo sguardo generoso che vede nel figlio ciò che nessuno vede. Sguardo buono è sguardo sempre nuovo: vede che il figlio cambia e quindi si adatta alla sua crescita (vi è un abisso tra il bambino e l'adolescente: trattare il figlio da perenne bambino è uno sbaglio da cartellino rosso!). Sguardo buono è lo sguardo ottimista, incoraggiante, luminoso: lo sguardo che dà valore al figlio e tifa per lui....» (Pino Pellegrino)
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numero TRECENTO Dopo qualche timido tentativo
nelle settimane precedenti, il 1 gennaio 2007 usciva il primo numero
di questo INFORMATORE dal numero 300 dell'informatore (5 Gennaio 2014) |
Occorre che faccia subito una precisazione: io
sono dalla stessa parte nella quale vi trovate voi che leggete
queste righe; cioè non sono l’autore dell’annuncio, ma uno dei
destinatari e beneficiari!
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(informatore 297 del 8 Dicembre 2013)
Siamo quasi al termine di quella, sempre interessante, umanamente arricchente e spiritualmente vantaggiosa esperienza che è la benedizione della famiglia. Vorrei qui riprendere le brevi parole che ho apposto sulla presentazione del pieghevole che lasciamo nelle case: «...perché ogni nascita è Natale». Così - con
brevi parole - credo di rendere omaggio allo straordinario dono che
Dio fa a ciascuno di voi genitori, di essere collaboratori nel
generare la vita. L’oratorio si affianca per il compimento di questo impegno e offre la propria collaborazione che, per quanto geniale possa essere, è anche un pò ingombrante, cioè occorre tenerne conto se si vuole che produca giovamento. Ecco allora la necessità di conoscere il "calendario" delle attività e delle proposte, alcune delle quali sono complementari alla crescita, altre essenziali. A queste ultime appartiene l’appuntamento di domenica 22 dicembre, giorno nel quale ci scambiamo gli auguri, sotto forma di piccoli pensieri "per pensare", ma soprattutto «presenziamo» (= qui bisogna cogliere tutta la forza di questa parola...) ad alcuni gesti che sono parte del cammino di formazione oratoriana. La rilevanza della giornata aveva spinto me e gli educatori a segnalarla la settimana successiva alla festa dell’oratorio (6 ottobre...!). Due sono i gesti dei "piccoli": l’iscrizione al percorso di professione di fede e il rinnovo (o la nuova...) dell’adesione al gruppo-chierichetti. Entrambi i gesti hanno tra le loro finalità il condurre "più vicini a Gesù", cioè esattamente preparare al Natale. Alcuni ragazzi saranno protagonisti, altri sollecitati ad emulare, tutti guidati ad approfittare del breve spazio di meditazione. Il pranzo - a base di pasta asciutta...-, la bibita, ecc... sono il gradevole contorno. Alla famiglia - dove i genitori lo vogliono - è facile far proprio l’appuntamento. dA
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BUON ANNO...!
Ho fatto colazione regolarmente questa mattina, tutto
normale. (informatore del 17 Novembre n° 294)
Don Bosco amava raccontare che, in una giornata afosa
e soffocante, mentre camminava per Torino in compagnia del
fedelissimo sacerdote collaboratore don Rua e di un altro salesiano,
ad un tratto vide una scena che "mi riempì il cuore di profonda
tristezza: A don Bosco piaceva ricordare questo fatto, uno fra i tanti, perché lo considerava il simbolo del suo grande amore verso i giovani. Amore non fatto di parole, amore che parlava dritto dritto al cuore: "Di questo ero certo: il cammino che giunge al cuore è quello che convince di più e spazza via ogni resistenza e possibile dubbio". All'inizio del nuovo anno che è liturgico, cioè tipico e proprio della famiglia (comunità) cristiana, è quanto mai opportuno scambiarci qualche augurio - non troppo convenzionale - e stabilire qualche proposito, potendo non di quelli che lastricano la strada verso la luna. Così mi pare che questo episodio preso dalla vita di san Giovanni Bosco possa suggerirci bene entrambi le cose. A tutti i genitori e a tutti voi, educatori dell'oratorio, l'augurio che lo Spirito di Dio ci aiuti a scoprire e a percorrere le vie del cuore per completare lo sforzo comune dell'educazione dei "piccoli" (da intendere come: tutti i figli che abbiamo in casa, finché li abbiamo in casa...). Noi adulti vediamo bene quanto sia "acciottolata" la strada che devono percorrere, ma forse è il caso di dire non meno acciottolata di quella sulla quale abbiamo camminato noi. Infatti vivono tempi con inattese difficoltà, ma sono dotati di intuizioni che noi facevamo fatica ad avere. Vivono obiettivamente condizioni più a rischio, ma ci sono più consapevoli e grandi strumenti di difesa. Ciò che qualche volta (o frequentemente) è venuto meno è lo "stare dietro", lo "spingere il carretto" con...: è aumentato il senso del "lasciar fare da soli", con il conseguente approdo al "non fare", o peggio al "fare solo l'interesse". Se mi è facile e poco costoso formulare l'augurio (perché affidato allo Spirito...), più impegnativo e ingombrante è fissare il proposito: quello di usare le mie (nostre) energie per metterci amorevolezza e non vivere come ingombro questo "occuparmi di loro", costantemente incoraggiato dalle parole di don Bosco che diceva: "Chi sa di essere amato, ama, e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani". Buon anno liturgico! |
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Ho ancora negli occhi e nel cuore quella straordinaria esperienza che è stata la Giornata Mondiale della Gioventù, vissuta da me comodamente in poltrona..., molti di voi come me, forse...; ma tutti eravamo rappresentati dalle nostre cinque ragazze presenti e attive in loco. Perché riparlarne? Perché le parole del Papa erano (anzi, sono...) tese a risvegliare un progetto di vita ispirato, condotto e concluso felicemente in Gesù; perché le immagini ci ricordavano (ci dicono ancora) che la scelta cristiana non è d'élite, non è per gli occidentali, non è per gente senza cultura, bensì è per tutti e a tutti sa dare soddisfazione; perché le nostre cinque ragazze facevano (dovrebbero farlo ancora) come da segna-posto per noi, porzione benestante dell'umanità, paese ameno, non estromesso dalla possibilità di accogliere l'annuncio positivo che fa vibrare questo tempo. Papa Francesco, saggio Padre spirituale universale, concludeva quella giornata con queste parole: "Ecco, cari amici, il nostro modello. Maria, Colei che ha ricevuto il dono più prezioso da parte di Dio, come primo gesto di risposta si muove per servire e portare Gesù. Chiediamo alla Madonna che aiuti anche noi a donare la gioia di Cristo ai nostri familiari, ai nostri compagni, ai nostri amici, a tutti. Non abbiate mai paura di essere generosi con Cristo. Ne vale la pena! Uscire e andare con coraggio e generosità, perché ogni uomo e ogni donna possa incontrare il Signore". (GMG Angelus, 28 luglio). Nessun'altra parola che questa, riuscirebbe a riassumere - seppure senza volerlo - in modo chiaro e sintetico le indicazioni che riceviamo dal Cardinale per il nuovo anno pastorale. La sua lettera "offerta a tutte le donne e a tutti gli uomini di buona volontà, ... è strumento di riflessione sul significato e la direzione della propria vita". Ecco il cuore della lettera e
dell'impegno pastorale di quest'anno: "Quando la comunità
ecclesiale vive perseverando nel pensiero di Cristo, nella comunione
sincera, nella celebrazione eucaristica in una piena apertura a
tutta la realtà, essa può con franchezza e gioia, senza alcun
artificio o forzatura, proporre questo incontro in ogni momento e a
chiunque: Dall'incontro con Gesù, gustato nel profondo, nasce dunque la testimonianza, soprattutto verso quelle generazioni, chiamate "intermedie" (25-50 anni...) "particolarmente travagliate,... alle quali l'annuncio del Vangelo appare astratto, lontano dal quotidiano...". Dalle nostre parti, ancora per un pò possiamo stare "tranquilli", i confini della fede sono ampi, seppure erosi, ma un tarlo subdolo si è introdotto nella nostra quotidianità: "...l'ateismo anonimo, cioè il vivere di fatto come se Dio non ci fosse...". Chi di noi - a ragione - ha la piena consapevolezza della bellezza dell'incontro con Gesù, deve acquisire forza, capacità e convinzione nel dirlo agli altri. dA
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Carissimi parrocchiani, o (se qualcuno non vuole troppi compromessi con il clero) Carissimi
concittadini,
credo siate tutti al corrente dell’accordo che la Parrocchia ha firmato in mese scorso con l’Amministrazione Comunale per la realizzazione di "n° 2 giornate di raccolta di beni alimentari destinati a soggetti in condizione di disagio". Questa è una buona cosa, perché dal mio piccolo osservatorio (sono anche responsabile Caritas di decanato...), sono sempre più marcati i segnali di un diffondersi ed estendersi dell’area del disagio economico tra le famiglie. Sul nostro territorio, il contributo che la Parrocchia offre perché sia data una risposta sana ed equilibrata al problema, è notevole: con mezzi propri, ma soprattutto con le braccia di tanta brava gente, che siete (molti di) voi. Ora devo dirvi questa cosa: per quanto bravi nel gestire, i nostri operatori Caritas a volte si trovano a constatare il "vuoto" delle dispense e diventa impossibile attendere l’organizzazione di una giornata "istituzionale". Mi son chiesto: ma allora perché siamo arrivati a formularle? Siamo forse malati di burocrazia? No, affatto. La nostra malattia credo vada classificata tra i "delirium". Infatti sento dire che "uno che non viene in chiesa", non verrebbe mai in casa parrocchiale a portare alimenti per i bisognosi; che esistono ancora forme anti-clericali (è un diritto avere delle riserve...); che non si sanno gli avvisi detti in chiesa (possibile e di diritto anche questo...); ma tutto questo è delirium di fronte alle necessità. Ora, chiarito che il prete si mantiene col suo stipendio e una discreta attenzione da parte di molti; assodato che ciascuno può esprimere le proprie contrarietà (ma per coerenza dovrebbe parcheggiare fuori dal piazzale, perché anche quello "è della chiesa"...); constatato che alcune notizie della parrocchia capitano tra le mani (e non si bruciano, infatti state leggendo...), non resta che fissare l’ultimo pensiero: avvicinarsi alla casa del prete o entrare in chiesa per appoggiare un pacco, non porta sfortuna! Che, se dopo averlo fatto, capitasse nell’immediato di inciampare e rompere un osso, beh - che dire? - lì ci vuol proprio una benedizione o, almeno, uno scongiuro ateo. A proposito: io so fare anche questi ultimi... Lo giuro davanti a Dio! Tutto questo per dire che abbiamo bisogno di rifornire il magazzino dal quale attingere per continuare ad aiutare. Qui sotto c’è annotato cosa necessita con urgenza. E le giornate "istituzionali"? Sono un’ottima occasione per i poveri, non per darci del demente. Ne cureremo certamente la realizzazione. dA
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L’ESTATE
VICINA PROVOCA L’ORARIO UN PROBLEMA
"NERVOSO" L’ESEMPIO DI MARIA E DI GESÙ Ancora una settimana e per
quasi tutti termina la scuola; c’è da augurarsi pochi strascichi per i debiti e
sereni prolungamenti per gli esami. Ma tutto questo genera (o amplifica) un
problema per i genitori. Vorrei spendere qualche parola su un particolare del siparietto sopra accennato, propongo di pensare un attimo a questo: «a che ora rientri...?». Battaglia! Perché sfiancati o perché superficiali, si finisce per concedere - di quarto d’ora in quarto d’ora - un rientro sempre "più tardi", in orari sproporzionati all’età e in barba al buon senso. C’è anche la motivazione, pietosa scusa: non si può vivere come una volta... ; va in quella casa... li conosco; vado a prenderlo io... e poi... tutto sommato è un bravo ragazzo, ... non fa nulla di male... È vero: occorre salvare il
"diritto" allo svago e alla riappropriazione del tempo, qualche volta
eccessivamente scippato da uno studio frenetico, ma forse non è questo il modo. Merita di essere riletta
quella pericope che conclude il capitolo 2 del vangelo di Luca (versetti 41-52)
dove è raccontato un clamoroso "sforameto d’orario" di Gesù dodicenne,
addirittura tre giorni! Dopo una iniziale - certamente chiara e pesante - risposta di Gesù, che non si colloca "fuori" dalla famiglia, ma semplicemente ne delinea più correttamente i confini (Dio è il Padre di Gesù), il brano di Luca si conclude con queste parole: «...stava loro sottomesso», il che significa che, pur con tutte le ragioni che poteva avere, Gesù ha preso coscienza della sofferenza provocata (il «perché» di Maria deve essere stato micidiale...) e ha fatto suo lo stile di casa («sottomesso») una volta per tutte. Genitore e figlio, nel rispetto dei loro ruoli, hanno avuto ciascuno il suo. E deve essere stata un’occasione indimenticabile per entrambi, oltre che una pietra miliare verso quella crescita che poi è continuata nello splendore davanti a Dio e agli uomini.
Tutt’altro che un fervorino, questa pagina
sollecita il genitore ad una assunzione di responsabilità, senza la quale la
sua presenza sarebbe inutile. Così dovrebbe essere più chiaro, se non
proprio più facile, esercitare la genitorialità consapevole. |