padre
CLEMENTE VISMARA
all’inizio dell’oratorio
feriale...
IL
SANTO DEI BAMBINI
Domenica 26 giugno in Piazza
Duomo a Milano verrà
proclamato beato padre
Clemente Vismara, che nel
1983 venne definito anche:
“Patriarca della Birmania”.
Nato ad Agrate Brianza nel
1897, partecipa come fante
di trincea alla prima guerra
mondiale, alla fine della
quale è sergente maggiore
con tre medaglie al valor
militare. Capisce e scrive
che “la vita ha valore solo
se la si dona agli altri”,
diventa sacerdote e
missionario del Pime nel
1923 e parte per la
Birmania. Giunto a Toungoo,
l'ultima città col
governatore inglese, si
ferma sei mesi in casa del
vescovo per imparare
l'inglese, poi è destinato a
Kengtung, territorio
forestale, montuoso, quasi
inesplorato e abitato da
tribali, ancora sotto il
dominio di un re locale,
patrocinato dagli inglesi.
In 14 giorni a cavallo
arriva a Kengtung, tre mesi
di sosta per imparare
qualcosa delle lingue locali
e poi il superiore della
missione in sei giorni a
cavallo lo porta a Monglin,
la sua ultima destinazione
ai confini tra Laos, Cina e
Thailandia.
Era
l'ottobre 1924: nei 32 anni
successivi (con la seconda
guerra mondiale in mezzo,
prigioniero dei giapponesi),
Clemente Vismara fonda dal
nulla tre parrocchie:
Monglin, Mong Phyak e
Kenglap. Scriveva ad Agrate:
“Qui sono a 120 chilometri
da Kengtung, se voglio
vedere un altro cristiano
debbo guardarmi allo
specchio”. Vive con tre
orfani in un capannone di
fango e paglia. Il suo
apostolato è di girare i
villaggi dei tribali a
cavallo, piantare la sua
tenda e farsi conoscere:
porta medicine, strappa i
denti che fanno male, si
adatta a vivere con loro, al
clima, ai pericoli, al cibo,
riso e salsa piccante, la
carne se la procurava con
battute di caccia. Fin
dall'inizio porta a Monglin
orfani e bambini abbandonati
per educarli. In seguito
fondò un orfanotrofio e
viveva con 200- 250 orfani e
orfane. Oggi è invocato
“protettore dei bambini” e
fa molte grazie che
riguardano i piccoli e le
famiglie.
Una
vita poverissima: Clemente
scriveva: “Qui è peggio che
quando ero in trincea
sull'Adamello e il Monte
Maio, ma questa guerra l'ho
voluta io e debbo
combatterla fino in fondo
con l'aiuto di Dio. Sono
sempre nelle mani di Dio”. A
poco a poco nasce una
cristianità, vengono le
suore di Maria Bambina ad
aiutarlo, fonda scuole e
cappelle, officine e risaie,
canali d'irrigazione,
insegna la falegnameria e la
meccanica, costruisce case
in muratura e porta nuove
coltivazioni, il frumento,
il granoturco, il baco da
seta, la verdura (carote,
cipolle, insalata (“il padre
mangia l'erba” diceva la
gente). Ciò che va detto è
che Clemente ha fondato la
Chiesa, cioè ha fatto
conoscere Gesù, in un
angolo di mondo dove non ci
sono turisti ma solo
contrabbandieri d'oppio,
stregoni e guerriglieri di
varia estrazione; ha portato
la pace e stabilizzato sul
territorio le tribù nomadi
che, attraverso la scuola e
l'assistenza sanitaria, si
sono elevate e oggi hanno
medici e infermiere,
artigiani e insegnanti,
preti e suore, autorità
civili e vescovi. Non pochi
si chiamano Clemente e
Clementina.
Nel
1956, quando aveva fondato
la cittadella cristiana di
Monglin e convertito una
cinquantina di villaggi
alla fede in Gesù, il
vescovo lo sposta a Mongping,
a 250 chilometri da Monglin
nella sterminata diocesi di
Kengtung, dove deve
cominciare da zero. Clemente
scrive ad un suo fratello:
“Obbedisco al vescovo perché
capisco che se faccio di
testa mia sbaglio”. A
sessant'anni incomincia una
nuova missione e anche qui
fonda la cittadella
cristiana e parrocchia di
Mongping, una seconda
parrocchia a Tongtà e lascia
altri cinquanta villaggi
cattolici. Muore il 15
giugno 1988 a Mongping ed è
sepolto vicino alla chiesa e
alla Grotta di Lourdes da
lui costruite. Sulla sua
tomba visitata anche da
molti non cristiani non
mancano mai i fiori freschi
e i lumini accesi. Ora, 23
anni dopo, il 26 giugno
2011, padre Clemente Vismara
è proclamato Beato della
Chiesa universale ed è il
primo Beato della Birmania.
Una Causa di beatificazione
rapidissima, considerando i
tempi lunghi di questi
“processi” romani.
Perché
padre Clemente Vismara
diventa Beato? In vita non
ha fatto miracoli, non ha
avuto visioni o rivelazioni,
non era un mistico e nemmeno
un teologo, non ha compiuto
grandi opere né è emerso per
qualità o carismi
straordinari. Era un
missionario come tutti gli
altri, tant'è vero che
quando nel Pime si discuteva
di iniziare la sua causa di
beatificazione, qualche suo
confratello della Birmania
diceva: “Se fate Beato lui
dovete fare beati anche
tutti noi che abbiamo fatto
la sua stessa vita”.
Il
vescovo birmano mons.
Abraham Than interpellato:
“Perchè vuol fare beato
padre Clemente?”, ha
risposto: “Abbiamo avuto
tanti santi missionari del
Pime. Ma per nessuno di essi
si sono verificati questa
devozione e questo movimento
di popolo per dichiararli
santi, come per padre
Vismara. In questo io vedo
un segno di Dio per iniziare
il processo informativo
diocesano”.
Diceva
un suo confratello: "Vismara
era straordinario
nell'ordinario”. A ottant'anni
aveva lo stesso entusiasmo
per la sua vocazione di
prete e missionario, sereno
e gioioso, generoso con
tutti, fiducioso nella
Provvidenza, un uomo di Dio
pur nelle tragiche
situazioni in cui è vissuto.
Aveva una visione
avventurosa e poetica della
vocazione missionaria, che
l'ha reso un personaggio
affascinante, forse il
missionario italiano più
conosciuto del Novecento.
La sua
fiducia nella Provvidenza
era proverbiale. Non faceva
bilanci, né preventivi, non
contava mai i soldi che
aveva. In un paese in cui la
maggioranza della gente in
alcuni mesi dell'anno soffre
la fame, Clemente dava da
mangiare a tutti, non
rimandava mai nessuno a mani
vuote. I confratelli del
Pime e le suore di Maria
Bambina lo rimproveravano di
prendere troppi bambini,
vecchi, lebbrosi,
handicappati, vedove,
squilibrati. Clemente diceva
sempre: “Oggi abbiamo
mangiato tutti, domani il
Signore provvederà". Si
fidava della Provvidenza, ma
scriveva ai benefattori di
mezzo mondo per avere aiuti
e collaborava con articoli a
varie riviste. Le sue serate
le spendeva scrivendo al
lume di candela lettere e
articoli (si contano più di
2000 lettere e 600
articoli).
Era
innamorato di Gesù (pregava
molto!) e del suo popolo,
specie dei piccoli e degli
ultimi e scriveva: “Questi
orfani non sono miei, ma di
Dio e Dio non lascia mai
mancare il necessario”.
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