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DI FRONTE A UN FIGLIO CHE CRESCE (come vuole lui)
Le amiche avevano cominciato a chiedere a quella mamma: "Stai bene? Ti trovo sciupata ..., perché non fai un pò di vacanza?". È vero, quella mamma non ha una bella cera, ma non può spiegare a tutti la situazione. Che dovrebbe dire? Ho un problema in casa: una figlia che non capisce niente? Non è il caso. Il conflitto col figlio (maschio o femmina che sia) genera un dolore pervasivo, quotidiano, e il corretto esercizio dei normali metodi educativi sembra non essere sufficiente a lenirlo. Spesso si è costretti a riconoscere il rifiuto del figlio di seguire gli insegnamenti, in cui è racchiuso tutto ciò che di positivo si può darglì, tutto il bene che gli si vuole. Il rifiuto è evidente nei fatti: si tratta di accettarlo senza diventare come la mosca che continua a sbattere contro il vetro della finestra. Altre mamme questo problema non ce l'hanno. Dicono che la loro figlia ascolta sempre, che quando contesta lo fa con buone ragioni (!), che cresce e rivela un'intelligenza fresca... Altre ancora, non hanno preoccupazioni perchè ... non hanno pensieri (!). Di fronte a un figlio che cresce infatti tra i genitori c'è chi è stressato dalla tensione, chi si è arreso, chi non si è accorto che c'è bisogno di lui, chi non ne ha la minima voglia, chi crede che ci pensi la vita e chi - beati loro - è fortunato perchè veramente va tutto bene. Tuttavia è difficile credere che non venga per tutti quel momento, per certi versi drammatico nel bene come nella disavventura, nel quale si dice: "Abbiamo capito che tu non vuoi più fare ciò che ti chiediamo e che se insistiamo peggioriamo la situazione". Quando viene pronunciata questa verità il momento acquista una sua solennità e grandezza, perché per il figlio si apre il tempo della responsabilità piena. Cosa sperare, cosa attendersi, che cosa succederà? Forse la domanda più giusta è: per che cosa lavorare, prima che accada ...? L'adolescenza (età della quale stiamo perdendo i confini) ha una sua segreta grandezza: è il momento in cui il figlio deve ascoltare, forse per la prima volta nitidamente (proprio perché non sovrastata dalla voce del genitore), la voce della sua coscienza, voce che scatena - dentro ciascuno - la battaglia fra il bene e il male. L'obiettivo di un genitore saggio è aiutare i figli a formarsi una coscienza. Dotarli cioè dello strumento più importante per vivere da esseri umani. È questo il vero “centro di gravità” della persona, una indispensabile bussola interiore per il viaggio della vita. Molti dei nostri ragazzi oggi, sono semplicemente “scombussolati” o, come spesso si afferma, “incoscienti”. La coscienza è la zona più intima, più profonda, più segreta dove l'uomo vede le cose con la sua intelligenza, dove esegue la sua valutazione: «Questo è bene… quello è male; questo è giusto… quello è ingiusto». Il Concilio Vaticano II ha definito la coscienza «nucleo più segreto e sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria». Naturalmente la coscienza non è solo dono, bensì va anche "formata", "educata". Molti genitori (in numero sempre crescente) "prudentemente" decidono che è meglio essere discreti rispetto alle questioni che riguardano la coscienza dei ragazzi. Oggi è facile e comodo, per noi adulti, svolgere il ruolo rassicurante di suggeritori di atteggiamenti e comportamenti che solo vagamente depongono a favore di un orientamento esistenziale consapevole, di una vita "secondo coscienza". È inutile dire quanto questa scelta sia deresponsabilizzante per i genitori e deleteria per i ragazzi, che devono barcamenarsi ora con l'assenza drammatica di testimoni e maestri, ora con la presenza caotica di molteplici figure educative che manifestano la pretesa di risultare influenti sulla loro identità etica. Così diventa inevitabile che ciò che non riceve stabilità in casa, venga consolidato da un cemento (acquistato a buon prezzo!) fuori. Per il credente - animale raro in
via di estinzione, ma una volta non eravamo noi (??) -
lavorare sulla coscienza equivale ad educarsi e a
educare all'ascolto della "voce di Dio", cui fa seguito
la responsabilità - parola che ha la sua radice nel
verbo rispondere - cioè la capacità di dire a lui
direttamente "la mia". Tutto questo è null'altro che la
preghiera. |